domenica 26 aprile 2009

America

L’America – che deve il suo nome ad uno di noi, l’europeo Amerigo Vespucci - è senza dubbio un’entità destinata a dividere profondamente, una realtà estremamente delicata e complessa, all’interno della quale coesistono etnie, religioni, stili di vita e correnti di pensiero tra loro molto divergenti.
E’ il paese delle diversità che convivono fianco a fianco sino a divenire ancora più evidenti, difformità che concernono ogni aspetto della vita pubblica ma che in taluni momenti della storia americana scompaiono prodigiosamente, lasciandoci con orgoglio nella mente il clima di commovente solidarietà nazionale seguito all’ 11 settembre, o l’entusiasmo con cui si saluta l’elezione di un nuovo presidente prescindendo dalle posizioni politiche, senza l’acrimonia e le asperità cui siamo abituati in Italia.
E’ la nazione che per quasi un decennio si è retta sull’amministrazione Bush, dallo stile conservatore e grintoso, ma che ora si lascia ammaliare dall’approccio miracolista e sognatore dell’afroamericano Barak Hussein Obama, dimostrando ancora una volta la propria essenza di isola felice, dove c’è spazio proprio per tutti e dove ciascuno ha, come vuole la più sana meritocrazia, la reale opportunità di arrivare, di affermarsi - e a questo proposito sono emblematiche le vicende umane di Bill Gates e di Steve Jobs, che dal nulla sono divenuti in breve tempo tra i massimi imprenditori del pianeta -. Al suo interno possiamo scindere le più svariate estrazioni sociali, dall’estrema povertà alla massima ricchezza, un’economia fondata sulla grande impresa oltre che sul concetto di multinazionale e dove l’artigianato è molto poco radicato, una forte cultura dell’investimento ed un sistema bancario di gran lunga meno stabile del nostro - Lehman Brothers docet -.
E’ una parte di mondo che appare disinibita e libera nei costumi, dove si fa un enorme uso di Internet e dove le armi si possono tranquillamente acquistare nei supermercati, ma che pare smentire la propria vocazione di libertà mostrando una coscienza “pro life”, in maniera a dir poco schiacciante stando ai sondaggi, attorno ai temi etici - basti pensare al caso Terry Schiavo o alla vigorosissima e diffusissima coscienza anti abortista -.
L’America è però anche - e forse soprattutto - la terra dei sognatori, quel mistero fitto e buffo che ha saputo animare i nostri giochi di ragazzini con le giubbe blu ed i cercatori d’oro, con gli sceriffi alla Tex ed i poveri indiani profondamente umiliati nelle riserve, con i padri pellegrini che sbarcano colmi di aspettative e con i “voglio te” dello zio Sam appeso sui manifesti, con il venerato George Washington e con il buon Lincoln ch’è morto sognando un mondo senza schiavitù. Verso di Lei noi italiani siamo certamente in debito per la provvidenziale liberazione dal nazifascismo e per la zelante protezione che ci ha accordato rispetto al comunismo, a Lei dobbiamo guardare con rispetto e spirito di amicizia, assorbendone i lati migliori –lo spoil system, la rendicontazione rigidissima cui sono sottoposti i politici, la lotta all’evasione fiscale- e cercando di colmarne le non poche lacune – uno scarso senso dell’estetica e della cultura, oltre che della storia, dell’arte, della moda e persino delle abitudini di vita, quelle alimentari incluse- .
Mi piace concludere evocando Francesco De Gregori, il Bob Dylan de noantri, che fa dire al suo Buffalo Bill che “tra la vita e la morte avrei scelto l’America”, intesa qui come uno stile di vita, come qualcosa che ti porti dentro, oppure citando il caro vecchio Francesco Guccini secondo cui “i cieli d’America son mille cieli sopra ad un continente”, alludendo ad uno spazio geograficamente enorme, che formalmente è nazione, ma al cui interno ci trovi davvero tutto ed il suo contrario al tempo stesso.

Nicola Battaglia

giovedì 23 aprile 2009

L'America

E' uscito il numero di Leitmotiv di aprile 2009 dedicato a "L'America".
E' possibile recuperarne una copia a Como presso la Biblioteca Comunale, il Punto Einaudi, la Birreria 35, la Libreria Mentana, la Casa del Disco, l'InformaGiovani, la Libreria del Cinema, il Caffé Natta e altrove; a Cermenate presso la tisaneria Amandla; a Milano presso l'Università Statale.

La redazione

lunedì 20 aprile 2009

J.G. Ballard è morto ieri nel suo ultimo scontro



Lo scorso 18 Aprile è morto lo scrittore britannico J.G. Ballard. Ballard era nato nel 1930 a Shangai, ma, già dal 1946, si era trasferito nel Regno Unito. Ballard è considerato il maestro di una letteratura perennemente ai confini tra onirismo, disperazione post-nuclerare e fantascienza. Alcuni suoi romanzi, come "Crash" (1973), "L'impero del sole" (1984) e "La mostra delle atrocità" (1970), sono capolavori di visione allucinata e sprezzante analisi del contemporaneo, libri popolati di deformazioni estetiche e filosofiche estreme, solo all'apparenza fantascientifiche, ma in realtà frontalmente improntate ad una totale critica dello Zeitgeist di fine secolo. Nei suoi romanzi Ballard ha messo in letteratura il clima apocalittico del tardo Novecento, terrorizzato dal passaggio al XXI secolo e ne ha espresso gli incubi, le deformazioni e le assurdità. La sua opera è stata di grande influenza per registri cinematografici del calibro di David Lynch e David Cronenberg che, nel 1995, ha realizzato "Crash", pellicola di culto direttamente ispirata dall'omonimo romanzo di Ballard. 

Viviamo insomma all'interno di un enorme romanzo. Allo scrittore in particolare è quindi sempre meno necessario inventare il contenuto fantastico del proprio romanzo. L'invenzione fantastica essendo già data, il suo compito è l'invenzione della realtà.

J.G. Ballard, Post-fazione a "Crash", 1974

Philip Di Salvo

giovedì 9 aprile 2009

Quattro


Sono ancora quattro gli studenti - tutti fuori sede, tutti assegnisti di borse di studio - intrappolati sotto le macerie dello studentato dell'Aquila. C'è uno sconforto più tremendo, più straziante, privato per questo dramma del dramma, per una tragedia che non vale niente di più e niente di meno delle migliaia di altre che il terremoto in Abruzzo ha generato domenica notte. E' un dramma di futuri ora impossibili, di futuri negati. Possibilità chiuse, abolite. E' la conclusione estrema e tremenda di un percorso che si fa improvvisamente maceria, crollo, fine. E' il dramma di chi è partito per studiare, per fare futuro, e si ritrova, corpo o sopravvissuto, nella sospensione ineluttabile del calcestruzzo che si spezza, del cemento armato che improvvisamente non serve a nulla, nelle macerie che sono sempre simbolo di passato e fine. E' la tragedia di un palazzo che non doveva crollare, che era stato costruito per non crollare, che era stato costruito per contenere futuri. Ma è venuto giù. Scricchiolando da giorni, agonizzando. Giù con il futuro dentro. Futuro che ora sta lì sotto, giù, in quattro parti. Con la rabbia inutile dei miei vent'anni, che sono anche i loro.

Philip Di Salvo

martedì 7 aprile 2009

America

A armi, amarono alba adipe
M mattanze morirono mendicando mignotte
E e e enormi ebeti,
R rock’n’roll resuscitarono Requiem ricchi
I icastico i ibridi impotenti
C come cenciosi chine cancri
A animali all'aspre, atavici.

Giangi Bocelli

lunedì 6 aprile 2009

La Penna di Dolorès Puthod

A dirla tutta, inizialmente diffido non poco di quella mostra che si tiene fino al 18 aprile nella Chiesa di San Francesco a Como. Il manifesto pubblicitario dice: «Mostra itinerante con l’Alto Patrocinio del Presidente del Consiglio dei Ministri»…Ma la signora Marianne della Birreria 35 dice che ne vale davvero la pena, così la visito, anche perché l’entrata è libera. Al bancone dei cataloghi, proprio sotto la gigantografia che ritrae la pittrice Dolorès Puthod in gioventù, è seduta una signora. Le chiedo un foglietto e una penna per prendere appunti. Molto gentilmente, lei mi fornisce il tutto e dice: «Per favore, si ricordi di restituirmi la penna, quando va via».

Nata a Milano, nel 1934, da genitori francesi fuggiti alla Guerra civile spagnola, Dolorès studia arte a Brera e scenografia a La Scala. Perciò, alla pittura e al teatro dedica tutto il suo lavoro, per sempre influenzata dalla conoscenza diretta del maestro Picasso e dalla drammatica esperienza della Seconda guerra mondiale. Nei suoi tributi alla Spagna, ritrae la magia della danza e non importa che i soggetti siano ballerine di flamenco o toreri, in fondo l’essenza è la stessa: nulla è più leggero di un lungo abito volteggiante o di un mantello rosso librato in aria. I visi dei soggetti sono sempre colti di profilo, magari con lo sguardo (triste) rivolto verso il basso. Le pennellate forti, a volte, sembrano voler mostrare lo scheletro delle figure, spesso non contenute per intero nella cornice. Passione e malinconia su sfondi così intensi da stancare quasi gli occhi.

Ma, nella sua carriera, la pittrice italiana si è dedicata a svariati altri argomenti e soggetti, quali religione, fiori, opere teatrali, Pulcinella, strumenti musicali, emozioni (“Solitudine”, “Ripensamento”, “Infinito”) con omaggi a luoghi e personaggi importanti (La Scala, Carla Fracci, Maria Callas). Nei dipinti, si notano elementi ricorrenti (quasi osssessivi) e spesso “estranei” al contesto, come vasi, ombrelli (e drappi) rossi, torve maschere teatrali, pappagalli variopinti, seggioline in legno. In alcuni quadri, i veri protagonisti non sono i soggetti al centro della scena, ma quelli ai margini - come spiegano i titoli delle opere: “Il suggeritore”, “L’ombra”, ecc. -. È un valzer di figure tristi, spesso piegate su stesse e aggrovigliate, in un carnevale malinconico, dai colori forti e scuri.

L’esposizione ha solo due pecche: le luci inadeguate che impediscono di godere appieno la vista di alcuni lavori e il rumore molesto degli skates di Largo Spallino. Mentre osservo gli ultimi disegni, mi si avvicina la signora che mi ha prestato la penna. Dice: «Le piace l’esposizione? Vedo che è molto interessato». Rispondo di sì, mi piace l’arte, la fotografia. «Ah, mi fa piacere, perché, sa, questa è la mia mostra…», ribatte lei.

Francesco Carrubba

Dolorès continua a improvvisare disegni, eseguendoli in pochi minuti a penna e inchiostro o con qualsiasi altro mezzo a portata di mano. Nel 1980, mentre era a Philadelphia, si trovò confinata in albergo con una violenta febbre. Seduta sul divano della sua stanza, sentì all’improvviso il desiderio di disegnare pagine e pagine mentre il pensiero rincorreva nuove pose, senza mai riproporre la stessa. Quando esaurì l’inchiostro, prese a intingere la penna nel caffè e, finito anche quello, cominciò a bagnarla nel vino rosso. Lo spunto è quasi sempre l’idea di una figura particolare che, tradotta in segno sulla carta, immediatamente suggerisce un’altra figura e un’altra ancora.
(J. T. Spike, New York, 1990)

venerdì 3 aprile 2009

Italiani brava gente


La notizia è di questi giorni. L'azienda municipalizzata che gestisce i trasporti pubblici della città di Foggia, la Ataf, ha apportato delle modifiche alla linea 24 degli autobus che collega il centro di Foggia al Borgo Mezzanone, popoloso quartiere a pochi km di distanza dalla centrale via Galliani. La linea dell'autobus sarà sdoppiata: due differenti percorsi, due differenti autobus, differenti fermate, ma medesima destinazione, e medesima partenza. Linea 24: cittadini italiani. Linea 24/1: immigrati. Separati, per non incontrarsi italiani ed immigrati viaggeranno sulla stessa linea, per la stessa destinazione, ma su due mezzi diversi, lungo percorsi differenti. La 24 per gli italiani collegherà via Galliani al Borgo Mezzanone, la 24/1 per immigrati farà avanti e indietro tra la stazione e il Cara, centro di accoglienza per richiedenti asilo situato nel quartiere. La scelta, ha spiegato il sindaco di Foggia (di centrosinistra!), Orazio Ciliberti, è stata presa per porre fine a "tensioni sociali" venute a crearsi a causa della comune presenza di italiani e stranieri sulla linea 24. Gli stranieri salirebbero infatti molto numerosi alla fermata nei pressi del centro di accoglienza, facendo viaggiare l'autobus a piena capienza sin da subito, rendendo difficile agli italiani la salita sul mezzo dalla seconda fermata, situata all'interno del Borgo Mezzanone. Siccome potenziare ulteriormente la linea esistente con nuovi mezzi o aumentare la frequenza delle corse non sembrava scelta saggia, la direzione della Ataf ha preferito optare per la creazione di una linea apposita per gli immigrati, loro riservata e diversa da quella classica, predisposta per i residenti. "Il razzismo c'entra poco", si è subito premurato di specificare Cilberti, si è trattato a suo dire di "una opportunità per creare un servizio migliore." Esclusivo, si potrebbe specificare. Non si può non credergli, gli italiani non sono razzisti, ci mancherebbe altro. Ho qui davanti a me l'edizione di oggi di "EPolis Milano", pagina dedicata agli sms dei lettori. A riguardo dei campi rom a Milano "Max vero Italiano" scrive: "Io mi chiedo questa gente va via dal suo paese per vivere in quel modo? Perchè al loro paese starebbero peggio? E poi basta col nascondersi dietro la parola razzisti!". Razzisti mai, ma italiani sempre, non nascondiamoci dietro gli aggettivi. Nè, tantomeno, il finestrino di un autobus.

Philip Di Salvo