domenica 29 novembre 2009

L'altra faccia (ritoccata) della medaglia


(Un anticipo del numero in imminente uscita cartacea dedicato a Il Trucco)

Daniela Santanchè è una vera conservatrice e lo si evince sia dalle sue posizioni politiche, sia dalle sue scelte estetiche. La leader del Movimento per l’Italia, infatti, è salita agli onori delle cronache in seguito alla vicenda Sanaa del 15 Settembre scorso, quando, nella provincia di Pordenone, una giovane di origine marocchina è stata brutalmente uccisa dal padre a causa della frequentazione di un ragazzo italiano più grande di lei. La Santanchè a tal proposito ha dichiarato: «Si impedisca alle donne di entrare con il burqa al velodromo Vigorelli di Milano ed in tutti gli altri luoghi in occasione dei festeggiamenti della fine del Ramadan». Il nesso tra le parole della politica ed i fatti mi sfugge. Tuttavia, bisogna riconoscere all'esponente de “La Destra” una certa perseveranza, essendosi da sempre battuta perché fosse vietato alle donne islamiche di portare il velo che copre loro integralmente il viso. La Santanchè si appella prevalentemente all'articolo 5 della legge 152 del 1975 che impedisce di rendersi irriconoscibili in occasione di manifestazioni pubbliche.

Ripercorriamo un attimo la storia della politica, riportata generosamente anche sul suo sito www.danielasantanche.com. Daniela, prima di diventare una politica di successo, si sposò molto giovane con un chirurgo estetico dal quale prese anche l'attuale cognome. Ancora prima delle nozze era già ricorsa alla chirurgia plastica per aggiustare quel naso che a suo dire non la faceva stare bene, le dava fastidio. Ecco qui una prima incongruenza: se la Santanchè non ammette la possibilità che le donne musulmane indossino il burqa perché le renderebbe irriconoscibili, è giusto ricorrere alla chirurgia plastica per modificare parti del proprio viso, per cambiare i propri connotati somatici che ci distinguono dagli altri? Certo, a livello giuridico il problema non si pone: la chirurgia estetica non è vietata e quindi chiunque può farne ricorso quante volte vuole. Eppure, a livello di principio, mi pare che scagliarsi contro il burqa perché non permette di distinguere la persona coperta contrasti con la scelta di ricorrere alla chirurgia estetica, che ha lo stesso effetto del velo. (La questione a questo punto sarebbe: l'identità di una persona si percepisce dal suo viso?).

Andiamo avanti con la biografia. Daniela Santanchè divorzia, ma ha già avviato una brillante carriera da imprenditrice e qualche anno dopo si consacrerà alla politica. È stato già detto all'inizio di questo articolo: è una conservatrice. Dal punto di vista politico, ma anche da quello estetico. Infatti, il suo viso molto tirato e la sua pelle liscia e lucida fanno trasparire altri ricorsi alla chirurgia plastica da parte della nostra. A Daniela Santanchè, come a molti di noi, non piace invecchiare. Allora decide di cercare di rimanere così com'è, di fermare il tempo. In questo senso è una vera paladina della conservazione, da far invidia a Tutankhamon. Ma è giusto pensare di poter riportare il nostro corpo a quello che era? Non si rischia piuttosto di materializzare solamente un'immagine che si ha di se stessi? Si ritorna sempre a porsi domande sulla propria identità, che è l'oggetto fondamentale della discussione. Il corpo è parte fondamentale di noi stessi e continuare a modificarlo equivale a celarlo, a spossessarlo delle sue caratteristiche peculiari. Modificare le sue evoluzioni naturali vuol dire astrarlo e renderlo un elemento distante da noi stessi, un qualcosa che smette di appartenerci. Logicamente questo discorso non contiene alcuna implicazione morale: si ragiona solo sulle conseguenze di alcuni comportamenti. E gli esiti non sono affatto scontati: se il burqa, che rinvierebbe ad una certa idea di identità musulmana, priva la donna di una propria personalità, il lifting, che forse si pone come contraltare occidentale al velo islamico, non porta allo stesso risultato?


Matteo D'Antonio

mercoledì 11 novembre 2009

Zeitgeist - Inertia creeps



Massive Attack, Palasharp (Milano), 8/11/2009

mercoledì 4 novembre 2009

Milano, l'amore e Dio


Sapessi com'è strano essere un tossicodipendente di Milano. Fino a 10 anni fa Edda, alias Stefano Rampoldi, cantava con i Ritmo Tribale, i progenitori degli Afterhours, poi ha smesso perchè si drogava troppo. Ora di mestiere fa il muratore e tra un ponteggio e l'altro ha inciso 12 perle.

Quando canta, ha una voce che si fa uomo, donna e neutro, che si fa ora adulta ora bambina, graffio e piuma, dialetto del Nord e accento del Sud, parola storpiata e versaccio incomprensibile, fulmine e sospensione, coltellaccio e carezza, urlo e sussurro. Tanto che una chitarra acustica basta e avanza.

I testi di questo album "Semper biot" (sempre nudo) sono deliranti al punto giusto. L'amore è corpo, violenza e sesso. L'amore è preghiera, disperazione, dolore, attesa e caduta. L'amore si spoglia, poi ti ammazza e ti finisce, perchè l'amore viene solo per uccidere. L'amore è un marito pazzo, è "gelosità" e promessa, l'amore è scoparsi la felicità. L'amore ti affetta e ti cucina. L'amore è facile, vedente, profondo e gaudente. L'amore è fare l'amore. L'amore è deficiente, semi-adolescente e innamoramento. L'amore è culla, l'amore è bellissimo. All'amore non c'è rimedio.

Milano è un intreccio di lingue, inflessioni, vergini e suorine, indifferenza, lavoro e panettoni.

Essere Dio è una cosa facile, amare Dio è una cosa inutile. Dio è fango e scomunica, Dio è ateo, perchè madonnine e madri non ce ne sono.

La stanza è una voragine, la casa è ballare in cucina fra sacchi di farina e solitudine. Poi, c'è Stefano un personaggio italo-argentino, solo e inutile che sogna, si fa schifo, cerca qualcosa, è nato e morirà senza denti, si perde mentre va all'Ikea e si chiede quand'è che andrà in Inghilterra. Scopritelo se lo trovate.

Adesso è mattina presto, ma stasera Edda urla al Magnolia di Milano. Io purtroppo ci vado solo se piove. Ma se il tempo sarà clemente, andateci voi e poi ditemi com'è stato.

Francesco Carrubba