Lo dico subito. Io non voglio che il muro costruito a Como a ridosso del Lario venga abbattuto. So che questo porterà critiche, insulti e risatine di compatimento, ma tant'è. Per cominciare, ricostruisco brevemente la storia della vicenda ed esplicito le ragioni per le quali, secondo me, il cemento armato deve rimanere lì dov'è.
Da qualche settimana Como si ritrova un muro di quasi due metri a sbarrarle la visuale del suo amato lago. Il disastro paesaggistico e ambientale deriva dal discostamento dal progetto iniziale delle paratie, annunciato in pompa magna dal sindaco Bruni per le elezioni comunali del 2007. Inizialmente, erano previsti delle barriere mobili, pronte a salire se il lago avesse minacciato esondazioni. Poi, causa mancanza (o sparizione dei) fondi, l'ufficio tecnico incaricato della costruzione delle paratie, venuto a sostituire gli ingegneri che avevano disegnato originariamente il progetto, si è deciso per l'innalzamento di una muratura stabile in grado di contenere il lago in piena. Il problema principale di tale modifica dei piani risiede nel fatto che in questo modo chiunque passeggi sul lungolago Trento sia impossibilitato ad ammirare il panorama che la città ha sempre saputo offrire.
Se ne sono accorti dapprima dei semplici cittadini, ma subito la notizia ha fatto il giro del capoluogo e, poco dopo, dell'Italia e del mondo intero. L'indignazione in tutti i comaschi è palpabile ed arriva ad una partecipazione e condivisione apartitica mai vista in tutti questi anni di scempi della politica cittadina. Nessun altra decisione da parte della giunta comasca o caso di cronaca avevano creato così tanto clamore e scalpore nella mite vallata: né il caso Rumesh in cui un giovane cingalese ha ricevuto una pallottola nel cranio da parte di un vigile urbano armato (da disposizioni di Palazzo Cernezzi) solo perché non si è fermato subito all'alt della polizia, né l'organizzazione grossolana delle mostre a Villa Olmo (troppo dislocate rispetto alla centro pedonale perché possano permettere una vera valorizzazione turistica della città tutta e perché possano agire in modo integrato al tessuto urbano), né le nuvole d'amianto smosse dalla distruzione della fabbrica dismessa della Ticosa voluta sempre in occasione delle elezioni del 2007.
Per la prima volta una barriera aggruppa e non divide. Il muro è stato l'unico caso di unione indiscriminata da parte della cittadinanza comasca. Per di più, cosa che non si era mai verificata prima, anche la stampa lariana e nazionale si schierano apertamente contro chi ha eretto la barriera, e molti assessori si discostano (in un atto politico astuto quanto disonesto: come se non fossero mai appartenuti alla stessa giunta che ha votato un progetto probabilmente inutile come quello delle paratie e che non lo ha seguito minuziosamente passo dopo passo) dal sindaco Bruni e dall'assessore responsabile Caradonna, ritenuti unici responsabili dell'inghippo. Logicamente, anche la minoranza del Consiglio comunale ha cavalcato l'onda e ha protestato contro la costruzione sul lungolago, celando però che anch'essa non si è occupata minimamente del controllo del progetto, non assolvendo così uno dei compiti fondamentali dell'opposizione. E tuttavia, malgrado la confusione e la provenienza eterogenea dei contestatori muro, si ritrovano tutti dalla stessa parte, con un fine preciso e condiviso. Ecco uno dei motivi per il quale bisogna salvaguardare la nuova costruzione e non abbatterla.
Ma non solo. Ho elencato prima alcuni sfaceli della politica comasca, tutti prontamente cancellati dalla memoria collettiva con buon merito delle istituzioni e dell'informazione locali. Il muro è solo l'ultimo disastro in termini cronologici e si spera che sia quello definitivo affinché la giunta vigente (e il consiglio comunale tutto, perché no?) venga a cadere. Sono stati anni difficili in cui il cittadino comasco cosciente ha dovuto subire tutte queste iatture senza possibilità di confronto e conforto politico. Il muro deve rimanere anche per questo: una sorta di monumento ai martiri di questa politica sciatta e maleducata; una cicatrice in una città ferita, ma che non vuole più essere accoltellata; un memorandum permanente affinché tutti possano ricordare a che cosa porta un voto basato sulla convenienza, sull'ignoranza o sulla semplice fiducia acritica ad uno schieramento politico. In questo senso, la mia posizione nei confronti del muro non può essere tacciata di qualunquismo: sono critico verso tutti gli schieramenti politici che hanno presidiato la politica cittadina sino ad ora, ma sono altresì fiducioso nella possibilità di un cambiamento.
Se i comaschi sapranno occuparla ed appropriarsene, la muraglia potrà diventare parte integrante della città. Potrebbe essere ciò che è presente in quasi tutte gli altri centri urbani e che è invece mancante in riva al Lario: uno spazio condiviso, un punto di ritrovo, un luogo di socialità diurno e serale, dato che la lontananza dal centro abitato ne permetterebbe un utilizzo ininterrotto. Certo, l'altezza non facilita l'accomodamento sulla parete, ma se ho ben capito il livello della strada dovrebbe venire al alzarsi. È palese a tutti che si sia creato un muro, ma forse grazie ad esso è possibile scalfire quell'invisibile barriera presente nella mente di tutti i comaschi.
Matteo D'Antonio
P.S. L'articolo esprime posizioni personali e non condivisi da tutta la redazione.
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bRAVO OLO
RispondiEliminaNichilsmo provocatorio da quattro soldi, contrario a qualsiasi buon senso. Complimenti.
RispondiEliminaPhilip
Olo. Sono amante del nostro paesaggio. Uno dei pochi motivi per cui, quando lontana, sento la mancanza della nostra città. Rabbia, il muro. Ma le tue parole mi piacciono e hai ragione, che resti segno di una città ferita e per una volta unita. Devo comunque ammettere che...però, con difficoltà accetto quel cemento armato vs ciò che nasconde. Meravigliosa provocazione, bravo Olo.
RispondiEliminaCeci