La profezia di Debord si è avverata. Con la crisi attuale, la società è ridotta a uno stato di passività derivante dalla progressiva mancanza di lavoro, e diventa vieppiù succube della dittatura dello spettacolo. La sostanziale unificazione di spettacolo concentrato (dittatura) e spettacolo diffuso (democrazia occidentale) nello spettacolo integrato, che troverebbe il suo massimo compimento nelle società francese e italiana, si è avverata. In misura maggiore in Italia, con il tycoon dei mass-media Berlusconi. La Francia ha conservato invece un legame con la sua eredità culturale, fatta di rispetto per l'intellettualità e anche per il marxismo, che le ha impedito di soggiacere totalmente alla cultura pubblicitaria, per quanto forte (vedi il ruolo di Séguéla per Mitterrand o di Carla Bruni per Sarkozy). Comune ai due paesi rimane il profondo condizionamento della forma-moda sul vivere quotidiano, e anche sui prodotti intellettuali, che Italia e Francia sono riuscite a imporre globalmente, anche ai paesi emergenti, negli anni '90. Il discorso sulla funzione della moda andrebbe approfondito per la sua doppia valenza di individuazione personale e di forte conformismo sociale.
È Berlusconi la maggiore incarnazione della dittatura dello spettacolo; purtroppo in nessun altro paese si è realizzata più compiutamente la profezia di Debord. Se gli antecedenti culturali di questa industria del condizionamento sociale possono essere ritrovati in Hollywood, e la produzione di consenso è ancora largamente influenzata da questi schemi nel governo americano, non si può dire però che là conti solo la promessa seduttiva di sesso, consumo e divertimento, come avviene nella Little Italy berlusconiana. Sicuramente Hollywood e il sistema dei mass media americani sono ancora grandi produttori di conformismo sociale, ma la politica non è totalmente asservita a uno svuotamento delle coscienze come da noi. Obama ha vinto promettendo una riforma dall'interno del sistema, la presa in carico dei suoi gravi problemi strutturali. Il problema è che a conti fatti ha venduto solo una speranza, che si è scontrata con il formidabile potere delle lobby. Anche il Nobel per la pace gli è stato assegnato sulle buone intenzioni: si premia una promessa, invece che una realtà. Si potrebbe allora parlare di progressismo fantasmatico del sistema, che toccherebbe anche il politically correct.
Ma Obama e l'America comunque hanno spiazzato gli europei rispondendo più rapidamente alla crisi del sistema, dal suo cuore. Là dove più forte era la contraddizione, più rapida è stata la risposta. Ma, come si sta vedendo, elusiva, perché non metteva in discussione il modello di sviluppo.
L'analisi di Debord, per quanto impressionantemente accurata negli esiti previsti, rischia sempre di degenerare in visione paranoica. La via d'uscita che aveva indicato era quella artistica: il Situazionismo. Con ciò intendeva la rottura del determinismo sociale attraverso l'arte, la festa, la contestazione, preconizzando il '68. Anche adesso, il fiorire dell'arte giovane rappresenta un tentativo di reazione, di reinvenzione del mondo. L'artista, se innovativo, è sempre un rivoluzionario, partendo dalla sua individualità, sulla sua pelle, il suo corpo. Ma lo spettacolo si combatte sia con la vita, che con l'arte e con la politica.
Se considerata dal punto di vista filosofico-politico, la visione di Debord si inscrive nel marxismo recente, con in aggiunta un determinismo totalizzante che non sembra lasciare scampo: l'unico modo di scalfire la dittatura dello spettacolo è creare le “situazioni”, momenti di rottura temporanea, di spontaneità. È evidentemente un continuatore della critica all'industria culturale della Scuola di Francoforte. Questo pensiero rivoluzionario prefigura le comunità eretiche, la liberazione della corporeità, ma riesce però a vederle solo come momenti temporanei; con la possibilità sempre in agguato di essere sussunti dallo spettacolo capitalistico. Forse si può spiegare questo limite con il fatto che, essendo egli stesso artista e regista, aspirava a quello spettacolo che criticava.
L'estrema risorsa di Debord, morto suicida nel 1994, è la mobilitazione totale, attraverso le “singolarità qualunque”, soggetti sociali nuovi protagonisti del mondo globalizzato, che però non hanno più un ruolo, una collocazione, che prefigurano le teorizzazioni negriane sulle nuove moltitudini rivoluzionarie, discorso che si concentra sull'attuale classe precaria e creativa.
Guido Ripamonti
G. E. Debord, Commentari sulla società dello spettacolo, Sugarco 1990. Ediz . originale: Lebovici, Parigi 1988
estremamente interessante complimenti!
RispondiEliminanon credi che l'unico modo per rifuggere la società dello spettacolo sia l'ascesi o il suicidio?
in effetti non mi sembra una prerogativa delle tragiche democrazie populiste odierne quanto dell'intera società consumistica (ormai non più solo occidentale)
in altre parole non vedo salvezza se non appunto attraverso un rifiuto (forte) della società stessa
come dici lo stesso debord probabilmente "aspirava a quello spettacolo che criticava" e sappiamo come è finita