La prima fotografia, Mario Giacomelli l'ha scattata a 27 anni. Come a dire, non è mai tardi per scoprirsi uno dei più grandi fotografi italiani. Non a caso, la sua opera è in esposizione al Centro forma di Milano, fino al 22 marzo.
La prima parte racconta la semplice gente italiana de "La buona terra" con volti che sembrano usciti da "I mangiatori di patate" del primo Van Gogh. Un esempio di "verismo" fotografico: gli occhi di Giacomelli trasformano in immagini reali racconti e personaggi di Pasolini e Verga.
Poi, sempre con la dolcezza del bianco e nero in primo piano, è il turno del reportage da Lourde, che, in quelle code infinite di ammalati (immigrati), fa tornare alla mente i nostri (molto meno romantici) Centri di Permanenza Temporanea (il tema della migrazione, d'altra parte, torna spesso tanto in Giacomelli quanto nelle cronache dei nostri giorni).
Giacomelli è anche fotografia di posa, delicata e emozionante, come nel fotoromanzo "Un uomo, una donna, un amore" e fotografia artistica, come nella famosa serie dedicata ai preti. Amava immortalare questi ultimi, le suore e i pretini, soprattutto per giocare con il contrasto tra le tonache nere e gli sfondi bianchi. La stessa ricerca vale per gli scatti dell'Ospizio e di Scanno (in Abruzzo), con i vecchietti di paese e le donne apparantemente sempre in lutto.
Inoltre, Giacomelli ha dedicato gran parte della sua carriera alla descrizione ossessiva della natura, tentando con insistenza di conoscerla e afferrarla completamente, in paesaggi che sono radiografie, che sono evidenziatori.
Oltre che fotografo e pittore, era anche poeta e lo dimostrano i bellissimi titoli dei suoi percorsi fotografici: "Verrà la morte e avrà i tuoi occhi" (l'Ospizio), "Io non ho mani che mi carezzino il volto" (i preti), "Il volo lento delle farfalle" (astratto). Ma l'amore per i versi si concretizza soprattutto nelle serie dedicate a tre poesie: A Silvia (Leopardi), Il ritorno (Caproni) e, infine, Canto dei nuovi migranti (Costabile) - meravigliosa per i migranti, i figli di migranti e per tutti gli altri -.
Assieme a Gardin, un grande rappresentante della fotografia italiana nel mondo.
La prima parte racconta la semplice gente italiana de "La buona terra" con volti che sembrano usciti da "I mangiatori di patate" del primo Van Gogh. Un esempio di "verismo" fotografico: gli occhi di Giacomelli trasformano in immagini reali racconti e personaggi di Pasolini e Verga.
Poi, sempre con la dolcezza del bianco e nero in primo piano, è il turno del reportage da Lourde, che, in quelle code infinite di ammalati (immigrati), fa tornare alla mente i nostri (molto meno romantici) Centri di Permanenza Temporanea (il tema della migrazione, d'altra parte, torna spesso tanto in Giacomelli quanto nelle cronache dei nostri giorni).
Giacomelli è anche fotografia di posa, delicata e emozionante, come nel fotoromanzo "Un uomo, una donna, un amore" e fotografia artistica, come nella famosa serie dedicata ai preti. Amava immortalare questi ultimi, le suore e i pretini, soprattutto per giocare con il contrasto tra le tonache nere e gli sfondi bianchi. La stessa ricerca vale per gli scatti dell'Ospizio e di Scanno (in Abruzzo), con i vecchietti di paese e le donne apparantemente sempre in lutto.
Inoltre, Giacomelli ha dedicato gran parte della sua carriera alla descrizione ossessiva della natura, tentando con insistenza di conoscerla e afferrarla completamente, in paesaggi che sono radiografie, che sono evidenziatori.
Oltre che fotografo e pittore, era anche poeta e lo dimostrano i bellissimi titoli dei suoi percorsi fotografici: "Verrà la morte e avrà i tuoi occhi" (l'Ospizio), "Io non ho mani che mi carezzino il volto" (i preti), "Il volo lento delle farfalle" (astratto). Ma l'amore per i versi si concretizza soprattutto nelle serie dedicate a tre poesie: A Silvia (Leopardi), Il ritorno (Caproni) e, infine, Canto dei nuovi migranti (Costabile) - meravigliosa per i migranti, i figli di migranti e per tutti gli altri -.
Assieme a Gardin, un grande rappresentante della fotografia italiana nel mondo.
Francesco Carrubba
Carrubba F. (2009), Tutto in bianco e nero a parte il sole. Riportato il 19 Marzo 2009 in http://giornaleleitmotiv.blogspot.com
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