martedì 17 febbraio 2009

Borghesia e arte a Milano: un binomio perduto


Milano, Regno Lombardo-Veneto, prima metà dell'Ottocento. Rosa Trivulzio, figlia del principe Gian Giacomo Trivulzio, proveniente da una nobile famiglia di letterati in stretto contatto con le menti migliori del Neoclassicismo milanese, crebbe il figlio Gian Giacomo Poldi Pezzoli in mezzo a una già cospicua collezione d'arte di famiglia. Dopo il suo viaggio per l’Europa che gli permise di venire a contatto con altri collezionisti durante le prime esposizioni internazionali, già nel 1846 Gian Giacomo ricavò nel Palazzo di famiglia un appartamento distinto da quello della madre, eclettico nello stile – Barocco, primo Rinascimento, stile trecentesco –, vario negli interessi – armeria, pittura, tessuti e arazzi, vetri e ceramiche, oreficerie e arti applicate, mantenendo pur sempre una dimensione privata e personale. Giuseppe Bertini, pittore, collezionista, già Direttore dell'Accademia di Brera e amico di vecchia data di Pezzoli, inaugurerà ufficialmente il museo nel 1881.

Qualche anno più tardi, Fausto e Giuseppe Bagatti Valsecchi di Varedo concepirono insieme il progetto di rendere il palazzo milanese di famiglia un Gesamtwerk grazie alle decorazioni fisse e a preziosi oggetti d'arte del Rinascimento, in linea con il programma culturale varato dalla giovane monarchia sabauda, ma anche omaggio a quell’età di Lodovico il Moro che aveva rappresentato un momento di egemonia delle città, e che allora si rifletteva in una rapidissima ascesa economica della città-guida all'interno della nuova nazione. L’aristocrazia milanese cominciava a dare spazio ad un’alta borghesia industriale.

Segno di questo cambiamento, fu tra il 1929 e il 1931, sotto la supervisione dell’architetto Piero Portaluppi, l’edificazione di uno stabile in via Jan 15, dall’Impresa Di Stefano & Radici, secondo i dettami dello stile déco. I locali al secondo piano furono abitati in vita dai coniugi Antonio Boschi e Marieda Di Stefano, figlia dell’imprenditore edile Francesco. Vi trovò posto una vasta collezione d’arte del tempo, partecipe e attenta alle vicende dei suoi protagonisti, spaziando dal futurismo agli anni cinquanta con opere di Soffici, Boccioni, Sironi, Severini, Dottori, Morandi, De Pisis, Fontana. Oltre duecento opere d’arte sottomisero gli ambienti della casa, che fu donata nel 1973 al Comune di Milano con la clausola che vi aprisse un museo.

Altri noti esponenti di questa alta borghesia industriale lombarda furono, tra gli altri, i Necchi Campiglio. Le sorelle Gigina e Nedda Necchi e Angelo Campiglio, marito di Gigiona, furono attivi nell'imprenditoria fra gli anni venti e la fine degli anni sessanta nella produzione di ghise smaltate e macchine da cucire (delle quali è celebre il marchio Necchi). I Necchi Campiglio condussero la loro esistenza all’insegna dell’agiatezza e dell’eleganza, come tuttora testimonia la loro casa, frutto di un’armoniosa fusione tra architettura, arti decorative, mobili e opere d’arte. Costruita tra il 1932 e il 1935, anch’essa dall’architetto milanese Piero Portaluppi e aggiornata in seguito dal collega Tommaso Buzzi, Villa Necchi Campiglio è una sontuosa villa unifamiliare collocata nel cuore della città che sancisce l’adesione dell’architetto milanese ai principi della modernità e l’ingresso del razionalismo nell’architettura cittadina, con il persistere di elementi del precedente gusto Déco. La villa ospita oggi la straordinaria collezione di opere d’arte del primo Novecento di Claudia Gian Ferrari, con lavori di Sironi, Martini, de Chirico e altri e la raffinatissima collezione di dipinti e arti decorative del XVIII secolo di Alighiero ed Emilietta De’ Micheli, con, tra le diverse opere, tele di Canaletto, Rosalba Carriera e Tiepolo. Dispersa è andata invece la raccolta di pezzi novecentesca curata personalmente da Nedda Necchi che conteneva, fra l'altro, opere di Jean Arp, Gianni Dova, Lucio Fontana, Roberto Crippa, Mario Sironi, René Magritte.

Palazzi, ville e abitazioni che testimoniano il fermento culturale che abitava nei cuori della borghesia milanese, quella dei Navigli a cielo aperto e degli atelier, che oggi non trova più linfa nell’aridità di una ventiquattrore.

Il Museo Bagatti Valsecchi, Casa Boschi di Stefano, Villa Necchi Campiglio e il Museo Poldi Pezzoli dal 2 ottobre 2008 sono riuniti nel circuito delle case museo milanesi.
Info: www.casemuseomilano.it

Marco Pepe

2 commenti:

  1. molto rispetto per il tuo articolo, Marcotta.
    per altro, la redazione di Leitmotiv è habituè della Boschi-Di Stefano.

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